StorieDì Cinema 47 Ronin: dalla Storia alla Leggenda
C'è una storia in Giappone, un'incredibile storia vera del XVII-XVIII secolo divenuta leggenda, che ha fatto il giro del mondo ispirando un gran numero di opere letterarie e cinematografiche, non senza ragione. Una vicenda assurda, soprattutto agli occhi della cultura Occidentale, in grado di far breccia nel cuore più duro, che non poteva non diventare un paradigma storico di eroismo e lealtà.
Lo Stato giapponese si era costituito nel VII secolo sul modello di quello cinese. Diversamente rispetto a quanto accadde in Cina però, in Giappone l'autorità dei funzionari regi venne a poco a poco eclissata da quella dei grandi signori fondiari (daimyo), che potevano contare sulla devozione e i servizi di una classe di guerrieri di professione, i samurai o bushi. La frammentazione del potere, i rapporti di vassallaggio e le continue guerre tra signori determinarono una situazione abbastanza simile a quella dell'Europa feudale. A partire dal XII secolo, accanto alla figura dell'imperatore, troviamo la figura dello shogun ("generalissimo"), la massima carica del comando militare che per lungo tempo detenne il vero potere. Nel 1603, con l'assunzione dello shogunato dei Tokugawa, il Giappone entrò nella lunga "era Edo o Tokugawa", quella che per noi europei coincide con gran parte dell'età moderna e col suo declino (1600-1868).
Questo periodo fu caratterizzato da una decisa centralizzazione del potere nelle mani dello shogunato ereditario. La società venne a costituirsi in un complesso sistema di classi sociali: in cima c'erano l'imperatore e la nobiltà di corte (kuge) insuperabile in prestigio, ma priva di poteri concreti; vi era poi lo shogun; i daimyo (carica feudale più alta), che gestivano il potere in una fitta rete di relazioni vassallatiche; i samurai, circa 400.000 guerrieri divisi in numerosi ranghi. Lo shogun poteva disporre di 17.000 samurai, ogni daimyo ne aveva qualche migliaio; vi erano poi contadini, i mercanti e gli artigiani; infine gli intrattenitori, le prostitute, i servi, i ladri, i mendicanti e i fuoricasta.
La storia dei quarantasette ronin (erano così chiamati i samurai rimasti senza padrone), si inserisce a pieno titolo in questo complesso contesto sociale, perché scaturì esattamente da un un conflitto tra Asano, daimyo di Ako, città della regione giapponese di Kansai, e lo shogun.
Dal momento che i daimyo erano tenuti a soggiornare alla corte dello shogun per gran parte dell'anno, e che tra questi vi era dunque anche Asano, il conflitto venne a crearsi nel momento di un'occasionale visita allo shogun di un inviato speciale dell'imperatore. Un cerimoniere, Kira, fu incaricato per l'occasione di curare proprio l'addestramento di Asano e di un altro signore, ma ben presto Kira fece capire loro che si aspettava di essere generosamente ricompensato per i suoi servizi. I due rifiutarono sdegnati: era inaccettabile che un nobile samurai dovesse pagare un sottoposto per ottenere quanto era suo dovere fare. Ma per evitare guai peggiori i servi al seguito dell'altro daimyo diedero, di nascosto, una generosa mancia a Kira. Immediatamente questi cominciò ad infierire su Asano mostrando invece premura verso Kamei, l'altro daimyo. Al termine di una lunga serie di provocazioni, Kira ordinò ad Asano di allacciargli una scarpa, ma quando Kira si dichiarò insoddisfatto del modo in cui era stata allacciata, Asano perse definitivamente la calma, estrasse il wakizashi, una spada che tutti i samurai portavano alla cintura, e si lanciò contro Kira con l'intenzione di ucciderlo ma mancò incredibilmente il colpo, sfregiandogli però il volto.
Il crimine commesso, una aggressione a mano armata all'interno del castello di Edo, era il più grave che un nobile potesse commettere. Asano venne messo agli arresti, ma la sera stessa gli venne recapitato l'ordine di darsi immediatamente la morte compiendo seppuku, un suicidio rituale riservato ai guerrieri per espiare una particolare colpa o per evitare una morte disonorevole. Il condannato dunque non veniva giustiziato ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita praticandosi, con un pugnale (Tantō), una ferita profonda all'addome, di una gravità tale da provocare la morte. Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto mentre ci si trovava nella classica posizione giapponese detta seiza, in ginocchio con la punta dei piedi rivolta all'indietro, con la funzione specifica di impedire che il corpo cadesse all'indietro poiché, secondo il codice morale allora seguito, il guerriero deve morire cadendo in avanti. Per preservare ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno lo decapitava non appena egli si era inferto la ferita all'addome in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto. La decapitazione richiedeva eccezionale abilità e non a caso chi era chiamato a compierla era spesso l'amico più abile nel maneggio della spada: un errore derivante da poca abilità o emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze.
Pochi giorni dopo il seppuku di Asano, dei messaggeri raggiunsero il castello di Ako, portando gli ordini dello shogun: tutta la casata doveva essere dispersa e tutti i 321 samurai di Asano diventare ronin, uomini senza padrone, lasciando al più presto il castello nelle mani degli inviati dello shogun.
Un gruppo di questi però fece un giuramento affinché il loro padrone trovasse vendetta, per poi disperdersi e non attirare attenzione. Uno di loro, Oishi, divorziò dalla moglie e si trasferì a Kyoto, dove iniziò una vita sregolata. Un giorno, mentre si trovava ubriaco per le vie di Kyoto, un ignoto samurai lo affrontò rinfacciandogli pesantemente la sua codardia. Oishi rimase malconcio e senza forze, non reagì, ma l'episodio fece scalpore nel suo cuore e fu forse la goccia che fece traboccare il vaso della vendetta. Una vendetta che attese due lunghi anni prima di trovare compimento.
I ronin presero a radunarsi in diverse circostanze per escogitare un piano, raccogliere armi personali e materiale, senza acquistare nulla per non destare alcun sospetto. Oishi stabilì che il gruppo, dopo essersi ritrovato in un punto prestabilito, si sarebbe recato compatto verso la residenza di Kira. Dovevano apparire come un gruppo di pompieri di ronda (i pompieri erano infatti armati e rivestiti per proteggersi dal fuoco con armature ed elmi di cuoio). Pare che uno dei ronin arrivò persino a sposare la figlia dell'architetto che aveva progettato la magione di Kira pur di avere accesso alle informazioni per entrarvi.
La notte del 14 dicembre 1702 il piano si concretizzò: i ronin si divisero in due gruppi, uno più numeroso che si schierò davanti la porta principale, ed un secondo, comandato da Oishi, schierato davanti a quella posteriore. Fu Oishi a dare il segnale: il primo gruppo aveva l'incarico di sfondare la porta, mentre altri penetravano oltre il muro usando delle scale. Nel frattempo dei messaggeri partirono verso le dimore vicine per avvertire di quanto stava succedendo. Uno di loro ne dava un annuncio ad alta voce, precisando che si trattava di un katauchi (la vendetta da parte di un gruppo di samurai intenzionato a vendicare il proprio onore oltraggiato). I ronin portavano indosso inoltre uno scritto in cui venivano ricapitolate le loro ragioni e dei cartelli ne vennero affissi per le strade. Nessuno dei vicini intervenne o avvertì le autorità. I ronin uccisero 16 guardie del corpo di Kira e ne ferirono 22, senza subire perdite. I superstiti, gli inservienti e le donne di servizio vennero rinchiusi e tenuti sotto controllo.
I due gruppi si ricongiunsero all'interno della casa, di cui avevano ormai il pieno controllo. Dopo lunghe ricerche al suo interno Kira venne trovato nascosto in una legnaia. Oishi gli rese note la sua identità e le motivazioni dell'assalto e gli propose di darsi onorevolmente la morte, utilizzando la stessa lama con cui aveva compiuto seppuku Asano, ma Kira non rispose, così lo uccise immediatamente, decapitandolo.
Successivamente Oishi recò la testa di Kira sulla tomba di Asano, per poi consegnarsi insieme agli altri ronin alle autorità attendendo di essere giudicati. Lo shogun concesse loro il seppuku, e per conservare la memoria di quanto accaduto ne graziò uno, che ha poi tramandato la vicenda.
Nel film 47 Ronin (2013), distribuito dalla Universal Pictures e con un magistrale Keanu Reeves, il tutto viene mitizzato e riletto in chiave fantasy, ma la cosa ha senza dubbio riportato il grande pubblico a riflettere su una storia incredibilmente evocativa della tradizione giapponese che, ogni 14 dicembre, continua a conservare una cerimonia del tè in onore dei quarantasette ronin di Ako.
Bibliografia: G. Soulié de Mourant, La storia dei 47 ronin, Firenze e Milano, Luni editrice, 2005.
Algernon B. Mitford, Tales of old Japan, Firenze e Milano, Luni editrice, 2006.
di Giorgio Rico