StorieDì Cinema Race: scacco matto ad Hitler

05.10.2018

La vicenda di Jesse Owens, un ragazzo nero dell'Alabama, consegnò al mondo un'impresa e un messaggio indelebili nel tempo, tanto da ispirare per decenni generazioni di afroamericani, diventando uno dei simboli indiscussi nella lotta contro la segregazione razziale del XX secolo. Tale vicenda è diventata iconica tanto da entrare nell'immaginario comune della cultura di massa, ispirando scrittori e registi, come nel caso del film Race: il colore della vittoria, del 2016, diretto da Stephen Hopkins. Un film straordinario, che restituisce al pubblico una storia che non deve essere dimenticata, che dovrebbe essere spunto di riflessione nelle scuole e nelle famiglie di oggi.

1936. Le Olimpiadi sono sempre un grande evento, sportivo e non. Da che il mondo ne abbia memoria. Da quel 776 a.C. ad Olimpia, in Grecia. Il paese che le ospita ha con esse la possibilità di dimostrare al mondo intero le proprie capacità organizzative e ciò è estremamente amplificato quando è deciso che debbano svolgersi a Berlino, in Germania, durante il regime nazista, con un certo Adolf Hitler al comando. Hitler sente di dover dimostrare la forza e l'efficienza della Germania, nonché la superiorità della razza ariana. Una grande occasione propagandistica che avrebbe dovuto, con ogni mezzo, presentare la Germania di allora come il paese più potente al mondo.

Il governo tedesco non badò a spese: vennero costruiti impianti e strutture all'avanguardia che rappresentavano pienamente il gusto architettonico dell'epoca. L'occasione olimpica venne celebrata dal film propagandistico Olympia della famosa regista Leni Riefenstahl, il primo in assoluto ed il più importante film olimpico mai girato; il cinema si configurò come uno dei più efficaci medium di cui Hitler si servì. Il regime tedesco mise in onda il primo programma televisivo regolare al mondo per permettere ai possessori dell'apparecchio di seguire la visione in diretta dell'evento, mentre la Deutsche Reichspost, vista la scarsità di apparecchi televisivi privati, organizzò vari punti d'ascolto (le cosiddette "sale pubbliche televisive") in diverse zone di Berlino affinché anche la gente comune potesse ammirare le imprese degli atleti, selezionati ad un solo scopo: vincere tutte le medaglie più importanti. La sconfitta non rientrava nel lessico politico tedesco, e in quell'occasione nemmeno in quello sportivo.

La solenne cerimonia di apertura delle olimpiadi avvenne il 1º agosto, con un pubblico entusiasta di 120.000 persone che gridava a gran voce "Heil Hitler"; il punto culminante dei festeggiamenti si raggiunse all'ingresso di un tedoforo che reggeva la fiaccola accesa a Olimpia e arrivata, dopo un viaggio di 3.075 km per tutta l'Europa, a Berlino, grazie a staffette che avevano percorso circa 1 km a testa. Da allora tale procedura sarebbe divenuta tradizionale.

A scombussolare i piani di Hitler fu però un insospettabile giovane dell'Alabama, americano e di colore. Si chiamava Jesse Owens e diverrà il protagonista assoluto di quei giochi olimpici.

Jesse veniva da una famiglia poverissima, perché in di colore, perché del Sud, e perché erano gli anni della "grande depressione" per gli USA. Lo chiamano Jesse, perché quando si sposta con la famiglia a Cleveland, una maestra gli chiede il suo nome: James risponde J.C., le sue iniziali, ma il suo forte accento del Sud induce la maestra a fraintenderlo e a chiamarlo di lì in avanti Jesse. E' il settimo di una famiglia di dieci figli, ma nonostante tutto presto seppe dimostrare di essere a suo modo unico. È un atleta formidabile. Corre velocissimo ed è un portento anche nel salto in lungo. Viene notato dall'Università dell'Ohio che lo inserisce nella squadra universitaria. Nel 1935, in una sola gara, Owens stabilisce 3 record del mondo e ne eguaglia un quarto (che comunque già gli apparteneva).

Nell'agosto del 1936, Owens vola a Berlino per prendere parte all'undicesima edizione dei giochi olimpici moderni. Conquista tutte le principali competizioni di atletica. Vince 4 medaglie d'oro conquistando i 100 e i 200 metri, la staffetta 4X100 e il salto in lungo. Nel salto in lungo, in particolare, Owens si scontra proprio con un atleta ariano, Lutz Long il quale aveva l'onere di portare a casa la medaglia d'oro in quella disciplina essendo stato selezionato dal regime. Ma non c'è niente da fare, Owens è il più forte, l'oro è suo, e a Long non resta che accontentarsi del secondo posto.

In quell'occasione Lutz Long, vedendo Owens in difficoltà nella gara di salto in lungo, gli suggerì di anticipare il salto nella rincorsa. Owens seguì il consiglio e riuscì a qualificarsi per vincere poi la gara. Lutz Long, il suo rivale, nonostante tutte le pressioni del momento decise quindi di seguire il suo spirito sportivo e perdere una medaglia d'oro piuttosto che vincerla in maniera immeritata.

Jesse e Lutz Long
Jesse e Lutz Long

Nella storia di Jesse Owens c'è posto quindi anche per un atleta tedesco che diventò suo amico e lo aiutò ad umiliare il regime nazista, perché sarà in quell'occasione che Jesse, ripreso dalle telecamere e osservato praticamente in tutto il mondo mise in difficoltà Hitler. Un afroamericano aveva dichiarato scacco matto alla Germania nella massima competizione sportiva.

La tradizione vuole che, dopo la vittoria di Owens, Hitler si sia alzato lasciando lo stadio per non dover stringere la mano al ragazzo nero. In realtà ciò non accadde.

Stando all'autobiografia scritta dallo stesso Owens, le cose si svolsero in modo molto diverso:

«Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d'onore per rientrare negli spogliatoi. Il Cancelliere tedesco mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un'ostilità che non ci fu affatto.» (Jesse Owens, The Jesse Owens Story, 1970.)

Anche la figlia di Owens, Marlene Owens Rankin, che a nome della "Jesse Owens Foundation" corresse la sceneggiatura del film, è dello stesso avviso:

«In realtà, mio padre non si è mai sentito snobbato da Hitler. In retrospettiva, mio padre fu profondamente ferito dal fatto che Franklin Delano Roosevelt, il presidente americano dell'epoca, non l'avesse ricevuto alla Casa Bianca.»

Scelta, quella del presidente americano, dovuta alle incombenti elezioni presidenziali e alla volontà di non rischiare di perdere l'appoggio dei conservatori.

La storia di Jesse Owens, grazie ai film come Race, è proprio una di quelle storie destinate a rimanere indelebili nei cuori di molti, una di quelle storie che lasciano un messaggio sempre attuale, sempre vivo, nonostante il tempo passi, nonostante gli uomini a volte dimentichino.

di Giorgio Rico

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