StorieDì Sport Dal Mito alla Storia: Le Olimpiadi
Quante volte ci è capitato di emozionarci guardando le Olimpiadi, sperando nella vittoria del nostro paese d'origine nelle discipline che più ci piacciono? Quante volte ci siamo infine domandati da dove quei giochi provenissero? La loro storia, l'origine di questa straordinaria manifestazione sportiva e socio-culturale, è millenaria e affascinante. Più di quanto molti di noi possano immaginare.
Nel 1896 il barone francese Pierre de Coubertin, insieme ad una commissione, sancisce la riapertura dei Giochi Olimpici, ai quali possono partecipare atleti di tutto il mondo. La cadenza sarà quella a cui siamo abituati ancora oggi, quadriennale. Ogni edizione si svolge in una città e nazione diversa dalla precedente e, dal 1900, vi possono partecipare anche le donne. Ma perché si è parlato di riapertura? Cosa era accaduto prima del 1896?
I Giochi Olimpici hanno in realtà un'origine antichissima, una storia millenaria e variegata, frutto di tradizioni ed usi di cui se ne sono addirittura perse le tracce. Molto sinteticamente possiamo però affermare che la pratica agonistica era sicuramente diffusa già in epoche remote, in molti paesi dell'Oriente e nelle civiltà del Mediterraneo. Molti riscontri archeologici testimoniano che la lotta, il pugilato, le gare ippiche, la corsa, erano esercitate dalle antichissime popolazioni dell'Egitto, della Mesopotamia, di Creta e di altre isole dell'Egeo.
In Mesopotamia, ad esempio, è attestata una tavoletta con una raffigurazione emblematica di quelli che hanno tutte le sembianze di due pugili, due lottatori ritratti nel momento dello scontro faccia a faccia. Quanto agli ittiti invece, ottimi cavalieri e tra i primi ad utilizzare i carri non solo in battaglia, alcuni rinvenimenti letterari hanno testimoniato a favore della pratica di gare ippiche. Numerose sono le figure atte a gareggiare su più fronti anche per quel che riguarda l'Egitto, nelle necropoli di Saqqara ad esempio. A Creta, all'epoca della fondazione di Cnosso, intorno al III millennio, si praticava invece la taurokathapsìa, gioco e rito religioso che consisteva in una sorta di caccia al toro: l'inseguimento avveniva a cavallo, poi ci si portava sulla groppa e sulla testa del toro e si effettuavano balzi acrobatici per poi legarlo. Diversi sono i casi di trasposizione artistica di tali pratiche ludiche.
Quelli che però possiamo convenzionalmente ritenere gli antenati delle moderne Olimpiadi sono i Giochi di Olimpia, la città greca che le ospitava ogni quattro anni e da cui hanno tratto il nome. Si trattava di celebrazioni atletiche e religiose, storicamente datate dal 776 a.C. al 393 d.C. Dato estremamente interessante è il fatto che durante i giochi le guerre in atto erano sospese da una tregua (ekecheirìa). Ogni conflitto perdeva dunque di importanza dinanzi a tali competizioni; ogni conflitto non doveva e non poteva essere d'intralcio ad una manifestazione così rilevante, usata inoltre come strumento di computo cronologico nella datazione degli eventi. Erodoto, nelle Storie, scrive che i greci, per rispettare l'armistizio, avrebbero addirittura interrotto la battaglia delle Termopili, lasciando increduli i soldati persiani. Oggi però l'interpretazione della tregua olimpica è decisamente più realista e critica.
Olimpia, durante i Giochi, diveniva il punto di congiunzione di tutta la grecità, in un fiorire di iniziative diverse. Vi si esibivano oratori, musici e letterati. La città divenne, così, un importante centro di diffusione della cultura ellenica. Luciano ricorda che Erodoto vi lesse alcuni capitoli della sua Storia delle Guerre Persiane e che Tucidide, presente tra gli ascoltatori, si commosse. Olimpia era anche un luogo di ritrovo per uomini politici che coglievano l'occasione per trattare affari di Stato.
Oltre ai Giochi di Olimpia vi furono manifestazioni simili, come i Giochi Pitici in onore di Apollo a Delfi; quelli Nemei a Nemea in onore di Zeus; quelli Istmici in onore di Poseidone e dell'eroe Palemone presso l'Istmo di Corinto; quelli Tolemaici ad Alessandria in onore di Tolomeo I e Berenice I; oppure i Giochi Panatenaici ad Atene.
La prima menzione dei giochi sportivi nella Letteratura Greca risale probabilmente ad Omero, che descrive nel XXIII canto dell'Iliade dei giochi funebri organizzati da Achille per onorare la memoria di Patroclo, ucciso durante la Guerra di Troia. Qui vengono descritte otto gare istituite proprio da Achille. L'agone/competizione era accompagnata da un athlon (da cui "atleta"), un premio dato al vincitore per sottolinearne l'eccellenza. Anche nell'Odissea sono descritte gare sportive che si svolgono nella mitica isola dei Feaci: erano sostanzialmente le stesse di quelle descritte nell'Iliade, con qualche sottile differenza o nuova introduzione.
Numerosi sono poi i riferimenti che Pindaro, autore del V secolo a.C., fa ai giochi, nelle sue diverse odi: 14 (le Olimpiche), 12 (le Pitiche), 11 (le Nemee), 8 (le Istmiche), e svariati frammenti. Tra questi curiosa è l'ipotesi di una fondazione mitologica dei giochi per volere di Eracle, che, durante una delle dodici fatiche, per ingraziarsi gli déi istituì i giochi stabilendo che il premio fosse un ramo d'ulivo proveniente dalle fonti dell'Istro.
Casi di attribuzioni mitiche alla nascita dei giochi sono comunque moltissimi, a dimostrazione del fatto che questi, con ogni probabilità, affondassero le loro radici nella religiosità. La competizione atletica doveva essere direttamente legata al culto degli dei. Doveva portare pace e armonia.
Pare che in origine le gare olimpiche ruotassero sostanzialmente attorno alla disciplina della corsa, lo stadion. Successivamente se ne aggiunsero altre, per arrivare fino a venti gare, per una durata complessiva che variò nel tempo dai cinque ai sette giorni. Tra queste sicuramente il Diaulos (doppio stadion), il Dolichos (corsa di resistenza all'incirca di 4800 metri), la lotta libera e il Pentathlon (salto in lungo, lancio del giavellotto, lancio del disco, corsa, lotta), il pugilato, le gare equestri (corsa dei carri e dei cavalli), il Pancrazio (combattimento misto di lotta e pugilato) e l'Hoplitodromos (corsa con le armi). Le varianti e le possibilità potevano tuttavia essere diverse.
I vincitori erano destinati ad essere celebrati da inni, canti e poemi lirici per l'eternità del tempo, nonché in statue e opere artistiche di rilievo. Ricevevano una corona d'alloro che li fregiava come campioni, ma a differenza di oggi l'etica sportiva dell'epoca non prevedeva un secondo e terzo posto. L'importante non era partecipare, ma vincere. La sconfitta era un tremendo disonore cui ogni atleta cercava di sfuggire con l'impegno, l'addestramento e la dedizione. Addirittura pare si attenessero anche ad una rigida dieta alimentare a base di pane, fichi e formaggio fresco cui, solo più tardi, fu consentito aggiungere una limitata quantità di carne. Variante che probabilmente condusse alla vittoria Eurimene di Samo nel 532 a.C., sotto consiglio e addestramento di Pitagora, di cui era discepolo. Il filosofo e maestro dell'atleta gli prescrisse una dieta ricca di proteine animali, e lo formò con la sua saggezza a non lottare per la vittoria che genera invidia ed impurezza, ma a combattere per esercizio ed esperienza (si veda C. Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza) .
Nel 393-392 d.C., tuttavia, l'imperatore Teodosio I, assieme ad Ambrogio Vescovo di Milano, interruppe i Giochi per via di un sisma che aveva semidistrutto Olimpia, per la corruzione che imperversava nell'organizzazione degli stessi, e probabilmente per l'associazione dei Giochi ad una religiosità pagana e politeista. I Giochi, nonostante in buona parte fossero penetrati anche nella cultura romana, persero gradualmente di importanza e rilievo. Nel 426 d.C. infine, fu distrutto il tempio di Zeus, presso il quale, durante il periodo di svolgimento dei Giochi, si tenevano accesi uno o più fuochi (da cui trae origine anche la tradizione moderna del braciere e della torcia). Con esso svanirono gli echi di una tradizione millenaria, curiosamente poi ripresa con lo stesso nome quasi quindici secoli più tardi.
di Giorgio Rico