StorieDì Sport Moretto, il pugile che mise KO i nazisti
1938. Con la promulgazione delle leggi razziali anche le strade affollate e piene di vita del quartiere ebraico di Roma, dove cattolici ed ebrei convivono da anni, vengono scosse da un clima teso e di terrore.
Dalla Germania giunge un ordine perentorio, per volere di Himmler: almeno ottomila ebrei devono essere deportati dal ghetto della città. La comunità ebraica, anche la sua parte più vicina all'ideologia fascista, non considera affatto che i nazisti stiano attuando un piano di eliminazione fisica rivolto proprio contro gli ebrei.
Intanto il tenente colonnello delle SS, Herbert Kappler, convoca i rappresentati della comunità ebraica di Roma e chiede loro di consegnare, entro trentasei ore, almeno cinquanta chilogrammi d'oro. In cambio promette loro l'incolumità. Tale promessa, che di lì a poco si rivelerà beffarda, fa drizzare le orecchie ad un ragazzo di ventidue anni, Pacifico Di Consiglio, proveniente da una famiglia molto povera ma fiera e dignitosa. Moretto, soprannominato così per la sua fulgida chioma, era stato da poco licenziato perché ebreo. Non riesce proprio a mandarla giù e così decide di allenarsi duramente in palestra, diventare un pugile, per organizzare una forma di resistenza.
Nell'ottobre del 1943, quando Keppler dirige le operazioni di cattura, Moretto cerca di mettere in guardia la popolazione del ghetto ma non viene ascoltato. Sarà uno dei pochissimi a scamparla durante le fasi concitate successive alla fuga dei Savoia. Armato di un piccolo mitra si batte a Porta San Paolo con altri antifascisti per ostacolare l'avanzata della Wermacht. Fallita la resistenza cercò invano di unirsi ai partigiani per poi tornare al ghetto, dove ingaggia una guerra personale contro le "camicie nere".
Per ben tre volte viene catturato e condannato a morte. Tutte e tre le volte la sua astuzia riesce a salvarlo. Tra una fuga e l'altra, zuffe da urlo, dentro e fuori Regina Coeli, prende addirittura a pugni una guardia che lo apostrofa "ebreaccio".
Moretto non si arrende. Lo fa per la sua Comunità, falcidiata da deportazioni, lutti e miseria. Pacifico di nome ma non di fatto, se ne va in giro con un impermeabile bianco, armato di pistola per difendersi dai fascisti che deportavano la sua gente.
Nel 1944, armi in pugno, combatte con gli Alleati per liberare le ultime sacche di resistenza tedesca. Conclusasi la guerra, nel 1947, partecipa al processo intentato contro i suoi torturatori; arrivato in tribunale, con le sue spalle possenti e il suo metro e ottanta, si fa largo tra la folla che assiste, supera lo sbarramento dei carabinieri e, deciso e risoluto, rifila un pugno dritto in volto a uno dei suoi ex aguzzini. Dopo anni dedicati a tramandare le sue memorie, Pacifico muore nel 2006.
Qualcuno afferma che le sue ultime parole siano state "FATE CASINO".
Un consiglio bibliografico:
Alberto Di Consiglio, Maurizio Molinari (a cura di), Il ribelle del Ghetto. La vita e le battaglie di Pacifico Di Consiglio, Moretto. Roma, 2009
di Lorenzo Mucilli