StorieDì Storia Chi ha ucciso il capitano Cook?
La morte del capitano James Cook, uno dei più grandi esploratori e navigatori della storia, avvenuta nel giorno di San Valentino del 1779 alle Hawaii, è uno dei temi ricorrenti dei dibattiti storico-antropologici dell'ultimo secolo. Qualcuno, l'antropologo Marshall Sahlins, pare sia riuscito addirittura a mettere insieme i pezzi del puzzle, risolvendo clamorosamente un "giallo" resistito al passare inesorabile degli anni. Prima dei suoi numerosi studi, poi confluiti nella raccolta di saggi del 1986 dal titolo "Island of History", altri intellettuali avevano cercato di risolvere il caso proponendo decine di nomi per il colpevole di quell'assassinio avvenuto in circostanze davvero strane, particolari. Dunque, chi ha ucciso James Cook? Andiamo per gradi.
La Resolution e la Discovery, comandate rispettivamente da Cook e Clerke, furono preparate per un viaggio che iniziò da Plymouth nel 1776. Fu l'ultimo dei tre viaggi di Cook, quello che, secondo il piano dell'Ammiragliato, aveva come obiettivo la scoperta del favoleggiato passaggio a nord-ovest, una rotta commerciale marina che passasse a nord e ad ovest del continente americano. Le navi viaggiarono dapprima verso Città del Capo attraverso Tenerife, per poi fare rotta verso la Nuova Zelanda. Prima di raggiungere la costa del Pacifico del Nord America e attraversare lo stretto di Bering, Cook scoprì l'arcipelago hawaiano, dove tornò più volte ma che gli fu fatale.
Quando, tra 1778 e 1779, si avvicinò alle Hawaii fu accolto da un inaspettato e festoso benvenuto a Kealakekua Bay, dove per il suo arrivo, secondo alcuni resoconti forse iperbolici, arrivarono addirittura a migliaia tra gli indigeni locali. Cook non sapeva che erano giunti in un momento particolare dell'anno, durante il Makahiki, una festa augurale per il nuovo anno, festa della fertilità e del raccolto collegata al culto del dio polinesiano Lono.
Secondo Sahlins, in sintesi, le strutture ed i sistemi culturali degli indigeni, totalmente diversi da quelli europei, vennero ad un incontro-scontro con questi ultimi, generando dapprima entusiasmo, poi confusione e caos. La concettualizzazione del tempo e della storia per gli hawaiani era un qualcosa di fortemente interconnesso con una realtà mitico-cosmologica non del tutto appartenente al passato. Gli eventi assumevano significato perché associati, per mito-prassi, ad eventi simili ma diversi avvenuti in un tempo mitologico e divino: come se si ripetessero, in un eterno ritorno, nel presente. Come se la storia fosse una metafora di una realtà mitica.
Questo secondo gli studiosi porta gli hawaiani ad individuare Cook proprio come il loro dio Lono, nel tentativo di rendere un evento unico come il suo arrivo un qualcosa di intelligibile, comprensibile (tesi poi aspramente confutata nel 1992 da G. Obeyesekere in "The Apotheosis Of Captain Cook: European Mythmaking In The Pacific"). E' per questo che le donne del posto, in una società fondata sulla bellezza e sull'amore (tema per cui si rimanda alla lettura del testo di Sahlins), si concedono ai marinai inglesi. E' per questo che di lì a poco vennero ad infrangersi una serie di tabu, soprattutto alimentari, che gli hawaiani si erano imposti da secoli. E' per questo che inizia una corsa frenetica a donativi di oggetti preziosi, vesti e cibo nei confronti degli inglesi, che possono ricambiare unicamente con delle armi in ferro, che presero rapidamente a circolare tra i familiari dei capi, le loro "corti" e tra i loro difensori. E' per questo che un imprevisto, a breve, si tradusse nella scintilla che fece esplodere la "bomba" che condusse Cook alla morte.
Dopo un certo periodo durante il quale Cook e il suo equipaggio furono solennemente festeggiati, l'atmosfera cambiò d'improvviso, in maniera radicale. Cook era da poco ripartita quando una terrificante tempesta colse di sorpresa l'esploratore di poco al largo dalla costa. L'albero maestro di una delle navi si spezzò, così Cook pensò di non proseguire il viaggio e tornare indietro. L'approdo alle coste hawaiane evidenzia però che qualcosa era cambiato: gli abitanti dell'isola che poco prima manifestavano gioia e felicità ora erano inspiegabilmente cupi, ve ne erano poche decine in spiaggia, e tutti accolsero gli inglesi con diffidenza. Cosa era cambiato? Perché quegli atteggiamenti così diversi a distanza di poche ore? Un ritorno di Cook-Lono così imminente non era previsto, si era dunque infranta la credibilità di un'associazione tra mito e storia e gli eventi presero a diventare incontrollabili. Era crollato quel qualcosa che rendeva quegli eventi comprensibili. Scoppiarono tumulti, Cook rapì Kalanopi'u, capo dell'isola, e mise ancor più in allerta gli hawaiani (l'episodio peraltro ricordava un'altra forma mitica del ricordo: la battaglia del Kali'i, tra dio e sovrano, per la legittimazione del potere). La situazione precipitò del tutto quando uno degli inglesi uccise sulla spiaggia uno degli hawaiani. Iniziò così un vero e proprio tiro al bersaglio nei confronti degli inglesi, cui venivano lanciati oggetti di ogni tipo, soprattutto massi. Ormai era inevitabile, ormai si era sgretolato quel qualcosa che cementava poco prima le relazioni tra due mondi così diversi. Era crollato ogni compromesso, anche quelli frutto del caso.
Cook fu assassinato proprio lì, sulla spiaggia, nel tragitto che lo avrebbe ricondotto alla sua nave. Un coltello di ferro lo trafisse a morte. E l'arma del delitto è la prova schiacciante che per Sahlins inchioda uno dei maggiori indiziati. Un uomo possente e ben addestrato, uno dei familiari più stretti del sovrano, uno della sua cerchia nonché suo personale difensore: Nuha. Di lui parlano anche i resoconti di viaggio di Vancouver, che giunse alle Hawaii alcuni anni più tardi. E' forse proprio Nuha quell'imponente personaggio che compare nell'opera di Webber "La morte del capitano Cook"? Sarà questa la soluzione del caso? Una cosa è certa: la sua morte non è stata vana, poiché proprio da queste assurde vicende sono scaturiti studi importantissimi che ci hanno permesso di scavare a fondo nella cultura hawaiana delle origini e di quei popoli affascinanti.
Dopo la morte anche del capitano Clerke, e sotto il comando di John Gore, gli equipaggi ritornarono sommessamente a Londra nel mese di ottobre 1780.
Si conclude così l'incredibile vita di James Cook che nei suoi viaggi navigò per miglia e miglia, in aree del globo inesplorate. Combinando arte marinaresca, coraggio e grandi capacità di leadership anche in condizioni avverse, oltre a un grande talento cartografico, raggiunse zone sconosciute e pericolose che mappò, registrando su carte nautiche la posizione di svariate isole e coste inedite, esaminandone e descrivendone le caratteristiche. Lasciò un patrimonio di conoscenze scientifiche e geografiche che avrebbe influenzato i suoi posteri almeno fino al XX secolo. Si conclude (forse) così un caso storico straordinario.
Bibliografia:
M. Sahlins, Isole di storia, società e mito nei mari del sud, Torino, Einaudi, 1986
di Giorgio Rico