StorieDì Storia Il sogno di Spartaco e le fasi della rivolta
Ad innescare una delle crisi politiche più rilevanti del I sec. a.C. furono alcuni uomini usciti dalla gladiatura, ed in particolare uno di loro: il Trace Spartaco.
Chi era Spartaco? Molti sono gli interrogativi che si addensano attorno alla sua figura, dovuti all'atteggiamento discorde nei suoi confronti degli autori antichi. Il primo dubbio sul personaggio riguarda addirittura il nome, che potrebbe non essere quello d'origine. Spesso infatti, i gladiatori, una volta destinati all'arena, adottavano degli pseudonimi a volte tratti dalla mitologia. Essendo Spartaco un Trace, stando a quanto le fonti sembrano concordare, potrebbe aver ricalcato lo pseudonimo dal suo villaggio d'origine, Spaetakios o Spartakos.
Per quanto riguarda la sua provenienza sociale, Mommsen ne ipotizza un'origine regia. Sembra probabile che fosse di condizione elevata. La moglie infatti, trace di nascita come lui, pare fosse una profetessa votata ai riti di Dioniso. Una figura importante per Spartaco, tant'è che lo accompagnò nella schiavitù e nella fuga. Rilevante il fatto che il Sud Italia, la zona dove la rivolta spartachea atecchì maggiormente, fu teatro, oltre un secolo prima, dei fermenti sociali legati al culto dionisiaco, fino alla repressione ricordata nel celebre senatus consultum de Bacchanalibus, la delibera che ne reprimeva i rituali. Non è improbabile che all'arrivo di Spartaco vi fosse ancora qualche adepto di quell'antico culto misterico e che dunque si aggregò alle sue file proprio grazie all'influenza della moglie profetessa. Ambiguo, ma potente, dopo gli anni turbolenti della guerra sociale e della guerra civile, un messaggio di rivolta doveva circolare ancora nel meridione della penisola.
Spartaco potrebbe aver militato da giovane in qualità di stipendiarius nelle file dell'esercito romano, come cavaliere ausiliario (Floro). Ripetuti in effetti sono nella sua vita gli accenni al motivo del cavallo, fino al gesto iconico ed estremo compiuto prima della battaglia decisiva: l'uccisione del suo destriero, forse come offerta rituale ad una divinità. Potrebbe effettivamente aver servito come cavaliere durante la guerra contro Mitridate, per poi disertare. Dopo la cattura sarebbe stato condotto a Roma e a Capua, finendo come gladiatore nella scuola di Gneo Lentulo Batiato.
Il suo progetto nacque proprio lì, nella schola di Capua. Si trattava di una fuga in massa che avrebbe dovuto coinvolgere centinaia di prigionieri. Il piano venne tuttavia scoperto e furono solo una settantina gli schiavi che riuscirono ad impadronirsi di armi improvvisate (spiedi, bastoni, coltelli ecc.). Usciti da Capua i fuggiaschi cercarono rifugio sulle pendici del Vesuvio. Floro attribuisce a questa scelta un valore ancora una volta simbolico, vista la credenza che vi dimorasse la dea Venere. Qui vi accorsero anche uomini liberi venuti dalle campagne. Non erano più quindi solamente un gruppo di schiavi.
I Romani avevano intanto lasciato trascorrere del tempo, forse sottovalutando il rischio e pensando di aver a che fare con una semplice seditio. Mandarono dunque a reprimerla un pretore, G. Claudio Glabro, alla testa di circa 3 mila uomini. Il problema è che si trattò di forze senza addestramento, reclutate durante la marcia. I fuggiaschi però non dovevano essere più di alcune centinaia, nonostante alcune fonti parlino già per questa fase di decine di migliaia (forse per ingigantire un po' il tutto e giustificare le disfatte romane iniziali?).
Quando le truppe romane scalarono i pendii della montagna e credettero di aver chiuso ogni via di fuga agli uomini di Spartaco, il Trace attuò uno stratagemma abilissimo: usando dei tralci di vite fece costruire lunghe e robuste scale flessibili, grazie alle quali i ribelli riuscirono a scendere nelle gole del monte. Nell'assoluto silenzio gli assediati calarono prima se stessi, poi le armi. Pare quindi piuttosto improbabile che fossero a migliaia, anche solo per il fatto di riuscire a compiere in breve tempo una simile manovra.
I ribelli comunque attaccarono di sorpresa i soldati di Glabro, avendo la meglio. Questa prima vittoria permise a Spartaco di ingrossare le fila della rivolta facendo leva sulle miriadi di schiavi delle fattorie della Campania, ma anche su numerosi liberi indigenti, forse la componente più rancorosa e crudele nei confronti di Roma. Persisteva infatti un odio feroce nei confronti della res publica, dopo i recenti trascorsi,che spinse molti ad accorrere per adesione personale nelle file di Spartaco. Quest'ultimo dovette rivolgersi ben presto al mondo appenninico, dove continuava ad esistere un bracciantato pastorale indigeno di tradizione antica dal quale il Trace finì per attingere più che da ogni altra componente sociale.
Sceso a meridione del Vesuvio, continuò così ad ingrossare le sue schiere. Dai monti del Sannio dovettero accorrere numerosi, per unirsi ad un capo vittorioso che pareva promettere vendetta. Roma, alla notizia della disfatta di Glabro, inviò nel 73 a.C. un altro dei pretori, Claudio Varinio. Anch'egli procedette a raccogliere gran parte delle forze durante la marcia. Il pretore commise inoltre l'errore grossolano di dividere il suo schieramento, creando due campi a nord del Vesuvio, sperando di stringere a tenaglia le forze ribelli. Spartaco, ancora una volta abilissimo, seppe anticiparlo attaccando separatamente i due contingenti nemici.
Arrivato l'inverno e dopo innumerevoli scaramucce, Spartaco seppe sorprendere di nuovo i Romani. Nel cuore di una notte buia, verso la mezzanotte, i ribelli si dileguarono nel più assoluto silenzio da un campo accerchiato dalle forze di Varinio, nei pressi di Acerra e Caivano, lasciando a guardia del campo solo alcuni cadaveri legati a dei pali come false sentinelle e un trombettiere che simulava la presenza dell'intero esercito trasmettendo segnali ad un'armata inesistente. Fu così che gli insorti decisero di passare in Lucania. Secondo Appiano raggiunsero i 70 mila combattenti dotandosi anche di una buona cavalleria. Si abbandonarono poi ad ogni genere di violenza, stupro, saccheggio e devastazione.
Varinio fu costretto ad accettare battaglia da Spartaco, e ne uscì definitivamente sconfitto, con le forze romane decimate e i littori, simboli dell'imperium pretorio, sottratti.
Con la via spianata verso Brindisi a Spartaco si offrì per ben due volte la possibilità di lasciare indisturbato la penisola. Ma evidentemente non era ciò che il Trace voleva.
Le forze dei fuggiaschi si separarono, molto probabilmente per motivi logistico-strategici. Divisi gli eserciti sarebbero stati più agili e avrebbero avuto meno difficoltà nel rifornirsi. Dovevano essere spinti inoltre dall'obiettivo di estendere il più possibile la rivolta anche alle zone non toccate dalla loro azione.
La situazione ormai era divenuta grave al punto da costringere Roma a schierare nel 72 entrambi i consoli. Crisso, altro comandante ribelle, intercettato da uno dei consoli (Poplicola e Lentulo) sul Gargano fu sopraffatto. Spartaco, tallonato da entrambi riuscì invece a colpire fulmineamente in successione gli avversari. Sbaragliò Lentulo, poi assalì Poplicola, sconfiggendo anche lui. Dopo la duplice vittoria il Trace volle rendere onore a Crisso con dei ludi funebres, facendo battere trecento prigionieri come gladiatori.
Subito dopo anche i 10 mila uomini del proconsole Cassio Longino furono facilmente soverchiati nella zona di Modena. Spartaco aveva spalancata davanti a sé la via per lasciare l'Italia, questa volta da nord. Eppure tornò indietro, muovendosi nuovamente verso sud, forse intenzionato a marciare su Roma.
Destituiti i consoli del 72, sconfitti ancora da Spartaco, fu chiamato a sostituirli Marco Licinio Crasso, ricevendo un imperium proconsolare in qualità di praetorius, e ai suoi ordini vennero poste ben sei legioni.
Crasso si pose subito all'inseguimento di Spartaco e trovò un primo contatto nel Picentinus ager, ma fu ancora una volta favorevole agli insorti. Nonostante ciò Crasso riuscì ad ottenere poco dopo diverse vittorie, mettendo in difficoltà il Trace al punto da pressarlo e spingerlo verso l'estrema punta dell'Italia. A Spartaco restava un'ultima carta: il passaggio in Sicilia. Verso il vertice tirrenico del Bruzzio trovò probabilmente un contatto con un gruppo di pirati cilici. A loro chiese di traghettare parte dei suoi uomini, con l'obiettivo di creare un secondo fronte e distrarre le forze nemiche. I pirati tuttavia incassarono il compenso e si dileguarono senza prestare il servizio richiesto. Non c'era da fidarsi.
Spartaco dovette così ritirarsi nuovamente verso l'interno accampandosi sulla punta estrema della Sila. Qui lo raggiunse Crasso che nell'inverno del 72 intraprese la costruzione di un vallo con fossato e palizzata, che andasse da mare a mare, sbarrando i rifornimenti ai ribelli e ogni loro possibilità residua di fuga. Nonostante tutto gli insorti riuscirono ad aprirsi un varco attraverso le difese del vallo. La retroguardia dei ribelli piegò verso una palude, nella zona di Paestum. Al termine di un duplice scontro la vittoria romana fu totale. Le perdite dei ribelli dovettero essere altissime (tra le 15 mila e le 35 mila vittime).
Al termine della giornata i vincitori recuperarono cinque fasci littorii, cinque aquile e ventisei stendardi da combattimento: segni eloquenti di una durissima stagione di lotte e di crisi per Roma.
Nella primavera del 71 si ebbe infine la battaglia decisiva, durissima ed estremamente cruenta, forse alle fonti del Sele, in alta Lucania. I ribelli furono disastrosamente sconfitti. Livio ed Orosio parlano di 60 mila caduti. Mille circa invece le perdite romane.
Spartaco, dopo aver sacrificato il proprio cavallo, si gettò eroicamente nella mischia abbattendo due centurioni da cui era stato assalito. Poi cerca Crasso, senza trovarlo. Caduto in ginocchio e gettato lo scudo, colpito alla coscia da un giavellotto, si difende morendo attorniato da molti dei suoi. (Floro)
Seimila prigionieri furono condotti al seguito dell'esercito vincitore e crocifissi fino all'ultimo sulla strada che va da Capua a Roma. Altri incapparono nell'armata di Pompeo e vennero sterminati.
Resta però un ultimo, forse retorico, ed affascinante interrogativo: qual era il sogno di Spartaco? E se si fosse avverato?
Un consiglio bibliografico:
G. Brizzi, Ribelli contro Roma, Gli schiavi, Spartaco, l'altra Italia, Bologna, il Mulino, 2017
di Giorgio Rico