StorieDì Storia La Battaglia della Meloria

08.12.2018

Passando per Ponte di Mezzo, nella straordinaria città di Pisa, e guardando l'Arno che scorre verso il mare, non si può fare a meno di notare la Torre della Cittadella. Fu costruita nel 1407, quando quel luogo non aveva certo l'importanza di due secoli prima, di quando gli arsenali repubblicani vedevano partire galee e naves di una Pisa ancora forte. Forza che venne meno lentamente nel XIV secolo, un declino che ebbe inizio in un preciso momento: nel 1284, data della Battaglia della Meloria. La Torre della Cittadella, detta anche Torre Guelfa, non esisteva ancora, ma ad essere protagonista di un momento fatidico che precedette la battaglia fu proprio quel ponte da cui oggi si può ammirare, Ponte di Mezzo.

Ponte di Mezzo, Pisa
Ponte di Mezzo, Pisa
Torre Guelfa, Pisa
Torre Guelfa, Pisa

Il 6 agosto del 1284, giorno di San Sisto, i pisani uscirono dal riparo di Porto Pisano e presero il mare per farsi incontro ai genovesi. Questi si erano spinti fin lì sotto la guida di Oberto Doria, cercando battaglia.

Lo scontro tra i due schieramenti, tra Pisa e Genova, andava avanti già da tempo. Nell'ultimo mese le due flotte si erano cercate a lungo. Ora Doria aveva finalmente il vantaggio numerico sperato, dopo essersi riunito alla squadra di trenta galee di Benedetto Zaccaria, e voleva porre fine a quella annosa diatriba. Si schierò di fronte a Porto Pisano, nei pressi delle secche della Meloria (da cui la battaglia ha poi preso il nome) già dal mattino. Contava su circa novanta legni, ma divise le sue forza, con la prima linea schierata a mezzaluna, mentre la squadra di trenta legni di Zaccaria fu tenuta più indietro con le vele ammainate e gli alberi abbattuti, per intervenire in un secondo momento.

Scogli della Meloria, con la Torre settecentesca in memoria dello scontro
Scogli della Meloria, con la Torre settecentesca in memoria dello scontro

Alcune fonti, principalmente gli Annales di Iacopo Doria (fratello di Oberto), insistono sulla divisione delle forze genovesi come segno di una volontà strategica di nascondere la loro reale entità e spingere i pisani a uscire in mare. Ciò è tuttavia difficilmente credibile: a detta del Musarra, a Pisa dovevano certamente conoscere la quantità di nemici cui stavano per pararsi contro. Non a caso la flotta genovese fu avvistata già il giorno precedente all'avvicinamento, quando lo stratagemma non era ancora stato messo in atto.

Dunque cosa spinse i pisani, consci dei numeri sfavorevoli, a scendere in battaglia? Forse il timore di un lungo e dannoso blocco del Porto, forse una eccessiva fiducia nel supporto delle sue difese e delle torri. Fatto sta che il podestà, Alberto Morosini, dopo lunghi dibattiti decise di prendere il mare con le sue galee, una settantina, e di combattere.

E a questo punto della vicenda, secondo Giovanni Villani (Nova Cronica, VIII, XCII), accadde un fatto eccezionale: dopo la benedizione delle galee e l'affissione dello stendardo (o degli stendardi, infatti il templare di tiro riporta che vi erano due galee portastendardo), mentre questo veniva innalzato presso Ponte di Mezzo, dal pastorale dell'arcivescovo caddero la croce ed il globo, evento letto come infausto. Altre fonti riportano l'evento (es. Anonimo Pisano) ma lo antepongono di un mese, alla partenza precedente il lungo ed infruttuoso inseguimento. Ipotesi, quest'ultima, forse più plausibile.

I pisani comunque si schierarono, anch'essi, a mezza luna di fronte al nemico. Dopo una lunga attesa, si diede il via allo scontro.

Cerchiamo ora di immaginare i legni in avvicinamento che incominciano a scagliarsi contro insulti, frecce, quadrelle e persino calce. Si sentono cozzare, i remi si spezzano ed i rostri sfondano e letteralmente disintegrano il legno degli scafi. Si sentono le urla ed il fracasso degli equipaggi che dopo gli arrembaggi furiosamente si scontrano.

La guerra in mare del XIII secolo non aveva nulla da invidiare alla sua controparte sulla terraferma, anzi il terrore dell'annegamento e gli spazi ristretti che presto si riempivano di lamenti, dei corpi dei morti e dei feriti stesi su di un ponte reso scivoloso dall'acqua e dal sangue la rendevano forse anche più brutale.

Non differivano troppo però gli equipaggiamenti: una galea dell'epoca contava su un equipaggio di circa centosettanta uomini. Principalmente vogatori, armati quantomeno di una lama e di un elmo semplice, come una cervelliera, se non anche protetti da un gambesone o da qualche altra protezione in cuoio bollito. Venivano poi i supersalientes, i soldati veri e propri, senz'altro più coperti, con elmi migliori (visto l'anno senz'altro comparivano, oltre ai vecchi elmi a nasale, anche i primi elmi a bacinetto) e qualche cotta di maglia. Fra questi figurano ventiquattro tra arcieri e balestrieri.

Galea del XIV sec. Xilografia dell'epoca
Galea del XIV sec. Xilografia dell'epoca
Elmo a cervelliera
Elmo a cervelliera
Elmo a bacinetto
Elmo a bacinetto
Gambesone o Gambeson
Gambesone o Gambeson

Al momento dello scontro i supersalientes lasciavano il ponte libero ai vogatori e si posizionavano in aree laterali della galea dette rembate, da cui e venuto il termine "arrembaggio", che certo ci fa pensare ad un diverso periodo storico di combattimenti navali.

Dopo questa doverosa breve parentesi, possiamo tornare alle battute finali dello scontro. Esso perdurò ancora con grande resistenza dei pisani finché la squadra di Zaccaria non piombò sul loro fianco portando gli equilibri di forza dalla parte dei liguri. La resistenza pisana continuò nonostante le perdite ed il fiancheggiamento, finché la galea di Zaccaria non riuscì a colpire ed abbattere la galea portastendardo pisana. Questi avvenimenti segnarono la fine dello scontro. Solo poche galee pisane, guidate dal Conte Ugolino della Gherardesca, che molti di voi ricorderanno dalle letture dantesche, riuscirono a rientrare in porto.

Era la fine di quella tremenda giornata, ma non della guerra. Oberto Doria non continuò l'assalto al porto forse a causa delle perdite subite, alte anche dalla parte vittoriosa, e il giorno dopo mosse verso Genova. Rientrò in città con un enorme numero di prigionieri.

La Repubblica Pisana, dopo un ulteriore secolo di scontri alterni con le rivali (ingrossatesi anche delle forze di Lucca e Firenze) finirà per cadere nel 1406. Esattamente un anno prima che la Torre Guelfa venisse costruita. La stessa torre che ancora oggi abbiamo la fortuna di poter mirare e che inevitabilmente apre fantastici cassetti della memoria. La stessa torre da cui la nostra narrazione, poche righe indietro, ha preso le mosse.

Bibliografia: 

Musarra, 1284: La Battaglia della Meloria, Laterza, 2018

di Ettore Radoccia

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