StorieDì Arte La Torre Prendiparte
Soprannominata "la Dotta", per lo Studium ivi fondato nel 1088 (convenzionalmente ritenuta prima sede universitaria d'Europa), "la Grassa", per il cibo e la cucina locale, "la Rossa", per il colore prevalente degli edifici, e da alcuni "la Turrita", per le numerose torri ancora oggi presenti, ma in gran parte sorte in epoca medievale, la città di Bologna è ancora oggi uno dei centri italiani più rilevanti in assoluto. Quelli del soprannome sono attributi abbastanza riduttivi se si considera più da vicino l'importanza di Bologna anche nell'odierno panorama culturale, politico e sociale, ma d'altra parte rispecchiano molto sinteticamente le peculiarità di un luogo il cui fascino ha saputo resistere al tempo.
Le torri gentilizie sono senza dubbio uno dei tratti più caratteristici della città. Di esse, circa un centinaio in origine (il che doveva far apparire la città come una vera e propria megalopoli moderna coi suoi grattacieli), ne sopravvivono oggi solamente una ventina. Fra quelle ancora visibili si possono citare la Torre Azzoguidi (61 metri di altezza), la Torre Prendiparte (59,50 metri), e le più note due torri: la Torre degli Asinelli e la Torre della Garisenda. Queste sono considerate monumenti simbolo della città: la prima di 97,20 metri (torre pendente più alta d'Italia), e la seconda in origine alta 60 metri (ora 48, citata anche da Dante nell'Inferno XXXI), furono edificate per volere di nobili ghibellini nel XII secolo.
Della storia architettonica delle torri in generale, sappiamo che esistevano già nel mondo mesopotamico, greco e romano, come punti di osservazione strategici in corrispondenza dei tracciati di mura e fortificazioni. In Mesopotamia esistevano anche le ziqqurat con funzioni religiose, mentre nell'antico Egitto i templi presentavano dei piloni. Della costruzione e della struttura delle torri parla anche l'architetto romano Vitruvio nel De Architectura.
Il periodo di maggior diffusione delle torri in Europa, però, è sicuramente il Medioevo, quando queste erano sfruttate anche per esigenze abitative: le torri permettevano infatti alle famiglie che ne erano proprietarie di proteggersi dai nemici presenti in città. A partire dal X secolo, l'Europa vide il moltiplicarsi delle case-torri in pietra. La tipologia più antica di torre medievale è quella a base circolare che trovò diffusione soprattutto nel ravennate. Nel periodo romanico si diffuse la tipologia a base quadrata o rettangolare, ma non mancano esempi di torri a base poligonale, come le otto torri nei vertici del Castel del Monte, in Puglia.
Tali strutture, oltre a ricoprire funzioni difensive, abitative, furono anche delle prigioni verticali e dei veri e propri simulacri del potere di chi le possedeva. L'altezza della torre diventava metro di ricchezza e potenza della famiglia che vi abitava, quindi non mancarono sfide a costruire più in alto possibile. Fu questo il motivo principale che in Italia portò ad episodi di "scapitozzatura" (demolizione dei piani più alti) delle torri a partire dalla fine del XII secolo, visti i rischi e i casi di crolli dovuti ad eccessi non troppo rari. Nei secoli successivi le torri vennero gradualmente abbandonate in favore dei palazzi, o inglobate in nuovi edifici. Le calamità naturali decimarono ulteriormente le torri superstiti e nell'Ottocento si continuò ad abbattere torri nei centri storici delle città italiane per allargare strade, creare grossi spazi aperti o per mettere in atto interventi urbanistici regolatori.
Oltre alle più note due torri del capoluogo emilano, caso davvero interessante è quello della Torre Prendiparte, costruita nel XII secolo dalla famiglia guelfa dei Prendiparte come ultimo baluardo contro gli attacchi dei nemici. Grazie ad un recente restauro conservativo, i 12 piani che la compongono sono, tutt'ora, perfettamente agibili e la torre rappresenta, assieme alle altre rimanenti, una delle testimonianze più antiche fra le costruzioni di rilievo conservatesi fino ai nostri giorni.
Grazie ai tipici mattoni "bolognesi" perfettamente posati dagli abili costruttori ed ai conci di selenite che rinforzano la base, la torre prende l'aspetto di un inespugnabile fortilizio medievale.
A lungo contesa nel corso dei secoli, la Torre dei Prendiparte venne adibita anche ad estensione del Seminario Arcivescovile. In seguito, trasferito il Seminario in altra sede, nel 1751 fu adattata a carcere dell'Arcivescovado per reati contro la religione. Nei locali dove un tempo c'erano queste prigioni della Curia (terzo, quarto e quinto piano), sono ancora presenti e si possono ammirare, grazie al recente restauro, iscrizioni e graffiti che presentano un colore rossiccio, poiché realizzati con scaglie di mattoni della torre stessa. Sono quindi ben leggibili iscrizioni, lamentazioni ed allegorie tracciate sull'antico intonaco settecentesco, tra cui quella di un certo Angelo Rizzoli "calcerato per avere ingravidato due sorele", come scrive egli stesso, oppure come quella in foto dove si può leggere: "Misera condicione di chi vien qva dentro / spolcro dei viventi e elisi dimanda / qva non vale ne oro ne argento / la carita si trata da vna banda / quell [...] amicho che vien per complimento / poco po [da] sperar di cose granda / anci li amici e parenti si alontana / e noi qva dentro dal ciel spettiam la mana".
I primi tre piani furono invece trasformati in civile abitazione alla fine del '700 quando la Torre fu confiscata alla Curia da parte delle truppe napoleoniche. All'ultimo piano, invece, vi è un'ampia terrazza che permette di ammirare la splendida vista dei colli e della piana di Bologna.
Oggi è addirittura utilizzata come dimora di pregio per eventi e soggiorni di grande fascino e suggestione. Di tanto in tanto è aperta alle visite dei più curiosi e permette quindi di immergersi in uno scenario in grado di valicare i limiti di spazio e di tempo, in grado di scardinare i concetti di passato e presente in virtù di una dialettica tra momenti storici che non si esaurisce, nonostante il trascorrere degli anni.
Bibliografia:
Le torri di Bologna. Quando e perché sorsero, come vennero costruite, chi le innalzò, come scomparvero, quali esistono ancora, a cura di Giancarlo Roversi (con testi di F. Bergonzoni, C. De Angelis, P. Nannelli, M. Fanti, G. Fasoli, P. Foschi, G. Roversi), 1989, Edizioni Grafis, Bologna.
Le torri di Bologna, a cura di Giuseppe Rivani, 1966, Tamari Editori, Bologna.
Di Giorgio Rico