StorieDì Storia L'Aquila e il Dragone: due eserciti a confronto
Tanti gli storici che si sono lasciati affascinare dall'idea di uno scontro tra esercito romano ed esercito cinese, in qualche landa sperduta dell'Asia, tra un'ipotetica legione perduta in quelle zone a seguito delle lotte coi Parti (in particolare dopo la battaglia di Carre del 53 a.C.) e una compagine dell'esercito Han, dinastia che governò la Cina tra 206 a.C. e 220 d.C. Idea dovuta principalmente ad una teoria molto diffusa nel secolo scorso, opera di un sinologo americano, Homer Dubs, che invito comunque ai più curiosi a consultare. Un approfondimento sulle fonti non ha tardato in realtà a rivelare la poca attendibilità di quella che resta ad oggi nient'altro che una leggenda, nonostante l'esistenza quasi certa di una rete di rapporti commerciali tra i due imperi, ai capi opposti del Mondo.

Al di là di questo scontro leggendario, come si componevano i due eserciti nel periodo "incriminato"?
Cosa curiosa è che il I sec. d.C. rappresentò, sia per Roma che per la Cina, un periodo di importanti riforme degli ordinamenti militari. Entrambi uscivano da lunghi periodi di lotte intestine e guerre civili, che avevano condotto a profondi stravolgimenti istituzionali e militari.
Se dunque per Roma il I secolo fu il periodo di affermazione e consolidamento della forma di governo del Principato, i primi decenni dell'era cristiana rappresentarono anche per la Cina un importante momento di trasformazione, con il passaggio dalla dinastia degli Han Occidentali a quella degli Han Orientali, dopo un breve periodo transitorio di usurpazione.
A Roma, il primo approccio al riordino dell'esercito fu quello di una radicale riduzione del numero degli armati; lo stesso Augusto nel suo Res Gestae Divi Augusti, così come riportato da Svetonio, afferma di aver avuto in armi un esercito di cinquecentomila armati e di aver distribuito terre, dopo la fine delle guerre a trecentomila di loro.
Similmente si agì in Cina, dove furono abolite la leva di massa e le manovre annuali volte all'addestramento dei coscritti nelle province più interne, con l'evidente fine di evitare possibili ribellioni di truppe ben addestrate.
Nel periodo precedente la riforma, attuata in Cina dall'imperatore Gwang-Wu, l'esercito Han si componeva sostanzialmente di tre elementi principali: le reclute (coscritti), i condannati (prigionieri) e i volontari.
La coscrizione era normalmente rivolta agli uomini di età compresa tra i 23 ed i 56 anni. Gli anni trascorsi nell'esercito dalle reclute si articolavano perlopiù in una fase iniziale di addestramento, di circa un anno, e in una fase successiva di attività vera e propria, presso le guarnigioni di frontiera, nelle milizie di provincia o presso la guardia armata della capitale, Chang'an ("Northen army" and "Southern Army"). Una sorta di reparto speciale di soldati scelti poteva formare invece, in casi di emergenza, una milizia locale (pen-ming). Le reclute servivano quasi sempre in qualità di fanteria; la cavalleria, consistente "innovazione" Han negli eserciti imperiali, era composta invece di volontari di estrazione nobiliare o di ausiliari non cinesi. La cavalleria negli eserciti cinesi delle origini era infatti elemento esclusivamente di supporto, come testimonia anche il fatto che essa sia solo una parte esigua dell'"armata di terracotta" fatta costruire per vegliare sulla tomba di Shi Huangdi, primo imperatore e fondatore della dinastia Qin. I condannati/prigionieri invece pare svolgessero maggiormente mansioni di carattere lavorativo, di servitù, ma è possibile che avessero dato il loro apporto anche nei combattimenti, in caso di necessità.

Le armate erano guidate da due generali - "di Destra" e "di Sinistra", oppure "di Testa" e "di Coda" - onde evitare casi di personalizzazione del potere. Aspetto interessante da notare per la compagine cinese è che tornare in patria da sconfitti a volte valeva una disonorevole condanna a morte.
L'esercito Han poteva quindi apparire come molto eterogeneo e variegato e, dopo la riforma, sembra che fosse addirittura composto da circa quattrocentomila uomini, di cui quasi un quarto inquadrati in reparti di cavalleria, ormai essenziali nelle campagne contro gli Xiongnu, i primi Unni, una confederazione nomade di tribù che all'epoca premeva sui confini cinesi. Le fonti sembrano concordare sul fatto che la maggior parte delle unità, dopo la riforma, andarono a stanziarsi infatti nei luoghi di confine, particolarmente delicati da gestire, e da quegli stessi luoghi spesso traevano il nome. Esempi evocativi ed eloquenti sono quelli della Guardia Imperiale, "Coraggiosi come le Tigri", o la cavalleria della "Foresta Piumata".
Allo stesso modo la riforma dell'esercito attuata da Augusto durante il suo principato (27 a.C. - 14 d.C.) rappresentò, per l'organizzazione bellica romana, un vero e proprio spartiacque, per la capacità di razionalizzare e organizzare in maniera definitiva le trasformazioni determinatesi in campo militare dalla metà del III sec. a.C., come conseguenza della nuova proiezione mediterranea della Repubblica.
Le guerre puniche combattute a cavallo tra III e II sec. a.C. ebbero due importanti conseguenze sull'organizzazione militare romana: la riduzione del tradizionale bacino di reclutamento, formato dai cittadini al di sopra di una determinata classe di censo (adsidui), e la creazione della prima provincia, la Sicilia. Le guerre avevano comportato il progressivo declino del numero dei cittadini romani. Ciò determinò la necessità di una progressiva professionalizzazione dell'esercito, con l'immissione, prima occasionale, poi sempre più massiccia, di capite censi, ossia proletari tecnicamente non reclutabili, e un allungamento dei tempi di ferma. Tali processi subirono una decisa accelerazione con Gaio Mario. Le sue truppe si componevano di volontari di età compresa tra i 17 e i 46 anni. La riforma mariana operò anche importanti trasformazioni a livello tattico e di addestramento, con l'abolizione della distinzione tra le precedenti categorie di soldati che costituivano la fanteria legionaria (hastati, principes e triarii), il passaggio dall'unità tattica del manipolo a quella della coorte (unione di tre manipoli per un totale di 600 uomini) e l'introduzione di metodi di addestramento mutuati da quelli delle scuole gladiatorie (Frontino, Stratagemmi, 4.2.2).
A complicare ulteriormente il quadro in cui Augusto si trovò ad operare intervenne quasi un secolo di guerre civili (a più riprese tra l'88 e il 31 a.C.), che rese evidente come la struttura istituzionale della Repubblica fosse ormai inadatta a gestire l'amministrazione di territori tanto lontani dall'Italia e come il potere politico fosse ormai legato unicamente al controllo dell'esercito. Al termine delle guerre civili Ottaviano si trovò a dover gestire una macchina bellica estremamente avanzata sul piano tattico ma difficilmente gestibile, con necessità strategiche nuove, dettate da confini sempre più estesi. Trovare un nuovo assetto per l'esercito rappresentava dunque una delle sfide principali del princeps, che si apprestava così a modificare sostanzialmente l'organizzazione dell'apparato militare.
Una prima divisione degli effettivi rimase quella su base legionaria: la suddivisione degli armati prevedeva dieci coorti, composte da sei centurie ognuna, che andavano a formare una legione (costituita dunque di sessanta centurie) forte di almeno cinquemila uomini, prevalentemente fanti accompagnati da un supporto di truppe a cavallo, le quali di norma raggiungevano le centoventi unita. Erano inoltre presenti un gran numero di calones, schiavi aggregati in occasione di campagne militari, alcuni dei quali armati con funzione di difesa del campo. Il comando delle singole legioni, ora sotto il diretto controllo del princeps, era di norma affidato al legatus, ufficiale di rango senatorio, fatta eccezione per la situazione in Egitto, caratterizzata dalle particolari dinamiche relative alla nascita di tale nuova provincia, affidata tradizionalmente ai praefecti di rango equestre.
Le 28 legioni istituite con la riforma augustea, alcune di esse completamente nuove, altre ripristinate da quelle preesistenti (che tra l'altro diverranno tragicamente 25 dopo la distruzione di tre legioni a Teutoburgo, la XXVII, la XXVIII e la XIX), erano divise non equamente lungo i nuovi fines romani, per ovvi motivi strategici. Tacito, negli Annales (IV, 5) ne fa una dettagliata descrizione, relativa all'anno 23 d.C., sotto Tiberio, che però non cambia, se non eccezionalmente, le posizioni fissate da Augusto.


Per quanto riguarda l'organizzazione interna della legione si evidenzia altrettanto chiaramente la volontà di limitare il potere immediatamente connesso all'esercito. Se infatti in età tardorepubblicana i legati erano scelti dai generali, ora l'arrivo ai ruoli di maggior prestigio era soggetto ad uno stringente cursus honorum, valevole e diversificato per i ranghi senatori ed equestri. Chi diventava legati augusti legionis si era di solito già distinto come edile o questore a Roma. Inoltre la caratterizzazione itinerante della carica di legato doveva in teoria impedire il radicarsi della fedeltà dei legionari per il comandante del momento.

Entrambe le riforme furono sintomo di specifiche necessità strategiche, logistiche ma anche sociali e culturali. Al mutare delle esigenze intrinseche degli imperi mutarono il reclutamento e la tipologia degli assetti bellici, che da "cittadini" si fecero sempre più stanziali, nonché "professionali". Gli esiti e i loro motivi sono dunque accostabili, o quantomeno curiosamente simili.
Poiché un scontro reale tra Aquila e Dragone ad oggi sembra non fosse mai avvenuto, ci "accontentiamo" di tracciare le similitudini e le differenze delle vicende magnifiche di due imperi senza eguali nella storia dei loro mastodontici eserciti.
di Giorgio Rico
Bibliografia:
Scheidel W., Rome and China, Comparative Perspectives on Ancient World Empires, Oxford University Press, 2009
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