StorieDì Storia Le monete dell'Alto Medioevo
Sebbene la Numismatica, come disciplina, trovi le sue basi scientifiche già nel XVIII secolo, è solo da pochi decenni che il ritrovamento monetale viene compreso in tutta la sua portata di documento storico ed archeologico, come tassello fondamentale nella ricostruzione di una economia e dunque di una società.
Per quanto riguarda il periodo altomedievale, in sintesi, l'arrivo dei Longobardi in Italia ha segnato senza dubbio una cesura di rilievo storico e politico senza precedenti, tanto da rivelarsi come estremamente decisivo per le sorti della penisola e per le vicende che la contraddistinsero nel suo prossimo avvenire.
Paolo Diacono, nell'Historia Langobardorum, ci racconta di come avessero combattuto contro gli Ostrogoti, ingaggiati da Narsete, e di come, abbandonata la Pannonia, presero a riorganizzarsi immediatamente nel Nord dell'Italia ed in particolare nel Friuli, lasciato da Alboino a suo nipote Gisulfo (primavera del 569), a Milano e soprattutto a Pavia, sul Ticino. La loro discesa scardinò completamente il controllo unitario della penisola dei Bizantini.
E. A. Arslan spiega come il territorio italiano risultò così bipartito tra due realtà di matrice istituzionale e culturale molto differente. Da un primo approccio ai ritrovamenti di moneta si è presto notato come la cultura monetaria trimetallica dell'Impero Bizantino fosse sostanzialmente "impermeabile" alla penetrazione della moneta esterna, dalla quale si difese con la chiusura dei confini ma, cosa più importante, non fu affatto vero il contrario. La moneta bizantina penetrò in maniera consistente nei mercati dei regni romano-barbarici (quello longobardo incluso) fino al VI - VII secolo.
La situazione iniziale del Regno Longobardo risulta particolarmente confusa, tanto che in questa fase i ducati ebbero un'autonomia pressoché totale, e la stessa monetazione per forza di cose dovette risentirne, tanto da designare un quadro numismatico fortemente eterogeneo. In un primo periodo si ebbero residue emissioni non ufficiali in rame, con nominali minuscoli (Nummi) e tipi "barbarizzati", evidentemente destinati ad uso quotidiano. Accanto ad essi e alla moneta bizantina vi era in territorio longobardo anche presenza di tremissi e solidi, probabilmente importati dalla Pannonia o prodotti in Italia da aurifices di cultura germanica, assenti però, per quel che è emerso fin ora dai ritrovamenti, in Italia centrale. Nient'affatto secondaria fu inoltre la produzione di tremissi e solidi pseudo-imperiali o con leggende stravolte, per Giustiniano I, Giustino II, Tiberio II e M. Tiberio, definiti "di transizione" (regno di Autari, 584 - 590). Intanto iniziarono ad essere emessi piccoli nominali in argento pseudo-imperiali con la croce in ghirlanda, da attribuire a zecche ducali, tollerate dai Longobardi, come in particolare quelle di Cividale, Trento, Brescia e altre città di Lombardia e Piemonte, dell'Emilia, o della Lunigiana, in particolare di Luni.
Nel VII sec., l'emissione e la circolazione della moneta aurea pare invece attestarsi ed immobilizzarsi sul tremisse pseudo-imperiale per M. Tiberio, con vittoria al rovescio. Tali emissioni, dette "reali", non coprirono però l'intero mercato longobardo. Venetia, Tuscia ed Italia centromeridionale, non le accettarono, proseguendo con emissioni ducali, provvedendo unicamente ad aggiornare il nome dell'Imperatore, come per giustificarne una presunta delega all'emissione. E' evidente quindi come i mercati dei ducati e dell'Italia settentrionale fossero separati, in virtù di un'altra forza economica ancora preponderante, quella bizantina, forza che di lì a breve entrerà in crisi e determinerà una conseguente ridefinizione anche della produzione di moneta.
Pare comunque certa l'adozione di un modello bimetallico basato su oro ed argento per la Langobardia-regno, poiché il rame è attestato maggiormente in contesti funerari. Tutte le emissioni viste fin ora comunque si esaurirono con l'inizio dell'VIII secolo, sotto il regno a Ticinum di Cuniperto (688 - 700) vista la riuscita riforma monetaria che introdusse nei rovesci la figura di San Michele, chiaro simbolo di una volontà politica unificatrice. In questo contesto di trasformazioni ed evoluzioni del quadro politico "nazionale" ed internazionale, l'argento andò perdendo gradualmente visibilità: una delle ultime testimonianze materiali è un incredibile ripostiglio a Biella, con oltre milleseicento silique e tremissi di Liutprando.
Fu Desiderio, poi, ad estendere alle città del Nord il diritto di emettere moneta in oro, sostituendo il tipo di San Michele con quello "Stellato". Le città coinvolte furono certamente Lucca, Ivrea, Milano, Novate, Pisa, Piacenza, Pombia, Reggio Emilia, Sibrium, Ticinum (Pavia), Treviso, Vercelli, Vicenza e Brescia, sedi di zecca che andarono ad integrare o a sostituire quelle attive fino a Desiderio.
Con Carlo Magno in Italia si venne a creare per ovvi motivi una nuova situazione. Nel 781, non ancora Imperatore, Carlo Magno estese il monometallismo argenteo al territorio italiano in suo controllo, demonetizzando le emissioni in oro precedenti, e sancendo così la fine della "monetazione longobarda" ed inaugurando un periodo politico, istituzionale-amministrativo e culturale del tutto nuovo.
La conquista di Carlo Magno rivoluzionò il sistema monetario e l'organizzazione delle zecche, che furono diminuite di numero. In pochi anni il sistema monetario modificò la sua essenza, basandosi su un unico nominale: il denaro d'argento.
Pavia, da capitale del regno longobardo, con la conquista franca divenne capitale del regno italico. Qui, sul finire dell'VIII sec., sono attestati denari con la legenda Carlus Rex Francorum al dritto, e dicitura Papia al rovescio. Secondo quanto riportato da A. Rovelli, queste emissioni dovettero essere consistenti, visto il loro afflusso nei principali ripostigli. A nostro avviso segno di una certa linea di continuità nell'uso anche "economico" della moneta durante l'Alto Medioevo.
Milano invece, nello stesso periodo emetteva monete con il tempio tetrastilo. Forse un tentativo politico di definire i diversi ruoli delle due città: una sede del potere politico (Pavia), con il Palatium, l'altra sede della chiesa metropolitica (Milano), col tempio.
Lo stesso Ludovico il Pio, nell'822, introdusse nuovi denari con al R/ l'iscrizione Christiana religio e il tipo del tempio, senza più indicazioni di zecca, allo scopo di sottolineare la centralità dell'autorità sovrana. Ancora una volta, dunque, il valore propagandistico e politico della moneta dovette affiancarsi a quello del suo effettivo valore intrinseco ed economico.
Alla metà del IX sec. sembra che la moneta milanese raggiunse un raggio di circolazione più vasto di quella pavese, ancora per motivazione di natura politica. Il crescente prestigio degli arcivescovi di Milano potrebbe aver generato le condizioni necessarie per una più ampia circolazione della moneta milanese. Viceversa, la saltuaria presenza dei sovrani in Pavia, e la mancanza di una corte stabile, avrebbero sottratto alla capitale la sua centralità economica.
Col X sec. si attesta poi un generale e graduale processo di svalutazione del denaro.
Con la fine dell'Alto Medioevo comunque, la moneta pavese dovette tornare ad essere la più "forte", secondo le testimonianze dei ritrovamenti sparsi in tutta la penisola, a conferma di una penetrazione percepibile anche in età ottoniana. Sarà infine con l'affermarsi delle autonomie comunali e con l'indebolimento del controllo regio che il denaro di Pavia andrà incontro a ripetute svalutazioni che ne ridussero l'area di circolazione, a conclusione di un processo altalenante del suo ruolo nel regno, protagonista di periodi di supremazia e periodi di subalternità.
di Giorgio Rico
Per uno studio più approfondito sul tema rimandiamo al seguente link: https://www.academia.edu/37435697/La_moneta_nellAlto_Medioevo_analisi_tipologico-propagandistica_e_ipotesi_di_un_confronto_tra_repertori_ed_aree_produttive_del_fisco_regio