StorieDì Storia Muri parlanti: tra Emilia, Abruzzo e Molise
Ci sono storie che sembrano voler restare ancorate a questa
terra per sempre, e per fortuna aggiungerei. Sappiamo tutti però, che un
giorno, prima o poi, la loro memoria cambierà radicalmente, un cambiamento già
in atto, e che sarà ormai il frutto della rielaborazione di testimonianze
indirette. Storie che comunque vada non dovranno mai essere dimenticate o
volutamente zittite.
Le stesse storie, oggi, hanno la capacità di riemergere dal sottosuolo come un fiume carsico, silenziosamente, e lo fanno con una straordinarietà talvolta da passare inosservate nella frenesia della quotidianità di questo terzo millennio. Storie in grado di rendere anche una roccia qualsiasi, un muro qualsiasi, un pilastro qualsiasi, delle fonti di eccezionale valore comunicativo. Dei muri parlanti.
Dei segni sui muri, simboli mai visti prima, ai miei occhi irriconoscibili o senza significato, che ho incrociato passeggiando per le strade di Bologna, mi hanno portato ad una riflessione simile, che si è trasformata man mano in una fitta tela di eventi intrecciati al passato del nostro Paese, e alle strade che fin ora ho avuto la fortuna di poter percorrere.
Una V su un pilastro, con una freccia bianca diretta verso il basso. L'ho notata molte volte sul corso principale di Bologna, eppure non riuscivo a capirne l'origine. Qualche settimana più tardi, in un'altra zona della città, delle scritte un po' consumate su un muro di un palazzo cinquecentesco (Palazzo Fantuzzi) si sono fatte notare persino al mio sguardo poco attento: "RICHIESTA DI SOCCORSO - DURANTE LE INCURSIONI AEREE - VIA ZAMBONI 13 - NUMERI TELEFONICI - 33516 - 23190 - 2[...]"

Due più due, difficilmente fa cinque, anche se, lo ammetto, sarebbe affascinante, parola di Orwell.
Quei muri, ancora oggi, vogliono raccontarci di una storia tragica e straordinaria vissuta dall'Italia, dall'Europa e dal Mondo intero, ormai circa settant'anni fa.
Il 25 settembre del 1943, alle battute finali della Seconda Guerra Mondiale, tra le 11 e mezzogiorno Bologna subì l'incursione aerea più disastrosa di tutta la guerra, soprattutto dal punto di vista delle vittime civili. 120 aerei del 97° e 99° Gruppo Bombardieri del V Stormo USAF sganciarono in centro e in periferia un enorme carico di bombe: 840 ordigni da 500 libbre, per un totale di 210 tonnellate di esplosivo. Il sistema di allarme antiaereo risultò purtroppo inefficiente: le sirene suonarono quando gli aerei incursori erano ormai già sulla città. E' sabato, molte famiglie e lavoratori affollano il mercato tradizionale, anch'esso colpito. Si accertano 936 morti tra i civili e più di mille feriti, ma molte altre persone, letteralmente polverizzate dalle esplosioni, risultano disperse. Un calcolo esatto dei morti di questo bombardamento non verrà mai fatto, ma non per questo quelle morti risuoneranno nell'eco della Storia invano. Alcuni parleranno di oltre 2.000 vittime reali. Oltre 500 edifici distrutti. Un ordigno distrusse persino un'antica farmacia, seppellendo un dottore e sua figlia. Centinaia di persone trovarono la morte in un rifugio di fortuna ricavato nel tunnel di un canale centrato in pieno da alcuni ordigni. Non è possibile indicare il numero esatto dei bombardamenti aerei subiti da Bologna tra il luglio 1943 e la fine del conflitto perché furono numerosissimi negli ultimi mesi. Ad essere colpito anche l'Ospedale S. Orsola, nel pieno del suo funzionamento.
Quelle V sui pilastri sono i segni dei rifugi per la difesa antiaerea, e la storia di Bologna non è nient'altro che una delle tante storie tragiche che l'Italia ha vissuto quegli anni:
Qualche giorno prima, il 10 di settembre dello stesso anno, anche la comunità di Bojano visse la medesima sorte. Erano le 10.30 quando si sentì in lontananza il rombo di un raggruppamento di aerei, una quindicina di bombardieri del XII Bomber Command. Era il primo giorno di una lunga serie di bombardamenti sulla città che cominciò a contare le prime vittime tra la popolazione inerme. Intere famiglie persero la vita. I raid aerei degli Alleati avevano come scopo la distruzione di ponti, strade e ferrovia per intercettare ogni possibilità di fuga tedesca verso Isernia. La popolazione terrorizzata abbandonò in massa la città cercando rifugio in montagna, tra la borgata di Civita e la località Sant'Egidio, raggiunte anch'esse dai successivi attacchi in ottobre. I bombardamenti si susseguirono fino alla fine della guerra. Tra quei rifugiati anche mia nonna, allora ancora ragazzina. A subire le devastazioni di quella guerra anche il Castello Normanno di Civita di Bojano, a detta di alcuni "scambiato erroneamente" con Montecassino. E anche le mura di quel castello, purtroppo, hanno da raccontare la stessa triste storia.

Muri parlanti, come quelli del fantastico Abruzzo, della città di Pescara dove negli stessi momenti prima citati altre incursioni causarono tra le 3000 e le 6000 vittime e la distruzione di circa l'80% degli edifici della città, soprattutto quelli che che circondavano la linea ferroviaria, vero obiettivo dei bombardamenti.
O come quelli della città di Ortona, che porta ancora i segni evidenti di un violentissimo scontro urbano fra l'esercito canadese, comandato dal generale Chris Vokes, e quello tedesco agli ordini del Generale della Luftwaffe, Richard Heidrich, avutosi nel dicembre del 1943. Ortona era dal punto di vista tattico-strategico la cerniera orientale della cosiddetta Linea Gustav, ideata dal Feldmaresciallo Kesserling per fermare l'avanzata degli Alleati in Italia, pertanto la conquista della città era un obiettivo di fondamentale importanza. Tanto importante da essere soprannominata "la Stalingrado d'Italia".
Dopo le prime fasi della battaglia e a seguito di una forte resistenza, la città di Ortona venne cinta d'assedio dai soldati del Commonwealth. Quando la vittoria degli Alleati sembrava ormai certa, l'avanzata improvvisamente si arrestò. Il genio militare germanico mise a punto una strategia tesa a logorare gli Alleati in una guerra urbana, la più difficoltosa per un esercito di fanteria.
Tutto quello che poteva capitare tra le mani dei canadesi esplodeva: tutte le case furono diroccate e minate. Ogni casa divenne una trincea.
I combattimenti non si fermarono nemmeno nel giorno di Natale, il 25 dicembre 1943, quando dei pesanti bombardamenti sulla costa da parte degli Alleati tennero impegnati i Paracadutisti tedeschi nel difendere le loro posizioni. Così i combattimenti nell'abitato di Ortona scemarono d'intensità e in questo clima surreale i canadesi riuscirono addirittura a consumare il pranzo di Natale nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Solo il 28 dicembre il centro urbano di Ortona fu definitivamente conquistato dalle forze Alleate. I tedeschi si ritirano verso il Castello Aragonese e verso il cimitero, dove opposero l'ultima resistenza lasciando di fatto la città in mano ai canadesi, cui seguì dal mare l'arrivo degli americani.
Lo scontro fu una vera e propria carneficina: tra le fila canadesi più di 2000 i caduti, a fronte dei circa 6000 complessivi di tutta la Campagna d'Italia (1943-45). Le perdite tedesche, invece, ammontarono a circa 870 uomini. Ai soldati caduti, vanno sommate 1341 vittime civili. Il 95% degli edifici della città era stato reso inagibile, parzialmente o totalmente distrutto.

Muri, pilastri, case parlanti. Dalla Linea Gotica alla Gustav, alla Barbara. Storie di un'Italia massacrata da una guerra che il genere umano non meritava. Storie che quei muri continuano a raccontarci a distanza di anni al solo scopo di evitare che tutto ciò possa verificarsi ancora.
di Giorgio Rico